Valutare la freschezza del pesce in tempi di crisi
| La diminuzione del consumo di prodotti ittici nel nostro Paese ha portato, già dal 2012 (20 kg annui pro capite), a un netto distacco rispetto agli altri partner comunitari come il Portogallo (60 kg), la Spagna (49 kg) e la Francia (33 kg). I dati parlano chiaro: alici -14%, calamari -15%, trote e polpi -9%; riduzioni più contenute per naselli e merluzzi (-4%). Risultano invece in aumento i consumi di prodotti conservati: secchi, salati, affumicati e surgelati. Tra questi, il tonno risulta stabile mentre si rilevano aumenti per le alici sott’olio e per gli sgombri. Gli acquisti di pesce surgelato crescono mediamente dell’1,1%. Tutto ciò evidenzia uno spostamento del consumatore verso l’acquisto di prodotti più convenienti, mentre il pesce fresco è diventato un lusso a cui molti sono costretti a rinunciare. Le Linee Guida per una sana alimentazione dell’INRAN consigliano di consumare almeno 2-3 volte a settimana il pesce, sia fresco che surgelato, per l’apporto di acidi grassi essenziali della famiglia omega-3 (acido linolenico e suoi derivati). Ma come scegliere il pesce fresco in tempo di crisi? Uno dei principali problemi legati al commercio dei prodotti ittici è dato dalla loro facile deteriorabilità. Dopo la morte i pesci vanno incontro, molto presto, a numerose alterazioni a causa della labile struttura e dalla particolare composizione chimica dei loro tessuti:
Sopraggiunge, inoltre, la rigidità cadaverica (rigor mortis) che poi scomparirà progressivamente dandoci così un’ulteriore indicazione sulla freschezza dell’alimento. Per accertare lo stato di freschezza del pesce è possibile effettuare analisi chimiche e batteriologiche ma la valutazione più immediata è senz’altro quella sensoriale, di rapida e facile esecuzione. Pur trattandosi di una valutazione soggettiva, è stato possibile predisporre delle valide tabelle di valutazione organolettica le quali costituiscono, attualmente, un importante punto di riferimento, riconosciuto anche dalla legge. Nella tabella che segue, i pesci sono suddivisi in 4 categorie di cui solo le prime 3 ammesse al commercio.
Tra tutti i caratteri presi in considerazione, l’odore è di fondamentale importanza. Nel prodotto fresco l’odore è gradevole e percepibile in modo leggero solo in superficie, non nella muscolatura. Nei pesci marini è caratteristicamente presente l’ ossido di trimetilammina (TMAO), un composto azotato che, dopo la morte dell’animale, viene degradato a trimetilammina (TMA), dimetilammina e altre sostanze, dando così luogo al tipico odore sgradevole di pesce avariato. La trimetilammina non si accumula nel pesce di acqua dolce che deve invece suo il cattivo odore (quando alterato) alla piperidina, un derivato dell’amminoacido lisina. L’odore dei pesci cartilaginei (palombo, smeriglio) è particolare: essi nel sangue contengono notevoli quantità di urea che si trasforma progressivamente in ammoniaca e anidride carbonica per cui il prodotto, anche se fresco, emana una un tenue odore fisiologico di ammoniaca che diventa sempre più forte nell’invecchiare. In base al Regolamento CE n.104/2000 e al Regolamento CE n.2065/2001, al fine di garantire la rintracciabilità, i pesci, i crostacei e i molluschi sia vivi, freschi, refrigerati, congelati, in filetti, tritati, secchi, salati, in salamoia, affumicati, precotti, in polvere, in farina o in pallet, possono essere venduti al dettaglio, indipendentemente dal metodo di vendita (preconfezionati o sfusi), solo se riportano precise informazioni. Queste ultime devono riguardare, tra l’altro:
Nel caso di vendita di miscugli di specie diverse, le informazioni devono essere riportate per tutte le specie. Fa eccezione la vendita diretta di piccole quantità da parte dei pescatori o dei produttori di acquacoltura.
Fonte:http://www.lascuoladiancel.it/
News di venerdì 03 aprile 2015
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