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Olio di palma, tra terrorismo ed evidenze scientifiche

by Direzione | lascia un commento

Negli ultimi tempi si sente spesso parlare di olio di palma, del suo largo impiego nei prodotti industriali e della sua presunta pericolosità. Diversi studi scientifici hanno analizzato la presenza o meno di correlazioni positive con l’aumento dell’incidenza di disturbi cardiovascolari. Scopriamo insieme i risultati cercando prima di conoscere meglio questo ingrediente spesso incriminato.

L’olio di palma è un olio vegetale che deriva dal frutto dell’albero della palma (Elaeis guineensis) originario dell’Africa occidentale e ora diffuso nelle aree tropicali dell’America e nel sud est asiatico. Dai semi dell’olio di palma è ottenuto invece l’olio di semi di palma (o olio di palmisto) che ha una composizione differente ed è usato soprattutto per impieghi non alimentari.

L’olio di palma è ricco di acidi grassi saturi (SFA), che costituiscono circa il 50% del totale e sono suddivisi in palmitico (45%), stearico (3%) e miristico (1%). Gli acidi grassi monoinsaturi (MUFA) ne rappresentano invece circa il 40%, mentre i polinsaturi (PUFA) il 10%. In aggiunta, l’olio di palma contiene molti fitonutrienti tra cui tocoferoli, tocotrienoli, steroli, carotenoidi, fosfolipidi, glicolipidi e lo squalene, considerati benefici per la salute umana per la loro attività antiossidante. Tuttavia, queste proprietà vengono meno con la raffinazione, quindi si riscontrano unicamente nel prodotto grezzo.

L’olio di palma, proprio per l’alta presenza di acidi grassi saturi, si trova a temperatura ambiente allo stato semi-solido; risulta quindi ideale per essere utilizzato come ingrediente nelle lavorazioni dei cibi, nei prodotti da forno e nei dolciumi. Negli ultimi anni, inoltre, l’industria ne ha incrementato l’utilizzo sia per motivi economici, sia per evitare l’impiego di acidi grassi trans (TFA) di origine vegetale, per i loro rischi per la salute. Sebbene meno nocivo degli oli vegetali parzialmente idrogenati, l’olio di palma è più ricco di SFA degli oli liquidi come quello di oliva, di soia e di canola (Canadian oil low acid derivato dalla selezione di alcune qualità di colza e ricco in acido oleico: 85%).

Nelle ultime decadi la discordanza tra le evidenze riguardo alla capacità dell’olio di palma di incidere sull’aumento della colesterolemia ha portato a interrogarsi sul perché questo olio possa essere potenzialmente nocivo per la salute.

La ragione principale sembra essere il suo alto contenuto in SFA, in particolare l’acido palmitico, che insieme all’acido miristico, in un report del 2003 della WHO (World Health Organization) è stato correlato positivamente all’aumento del colesterolo ematico e di conseguenza all’incremento del rischio di sviluppare patologie cardiovascolari.

Tuttavia non tutti gli studi giungono agli stessi risultati. Una review del 2013 condotta dagli italiani Fattore e Fanelli sembra ridimensionare il ruolo negativo dell’olio di palma (e dell’acido palmitico in quanto tale), soprattutto in virtù della presenza compensatoria di altri acidi grassi come l’oleico e il linoleico. Altre ricerche devono essere condotte sull’argomento valutando non solo gli effetti dei singoli elementi, ma il loro ruolo nell’ambito del modello alimentare assunto.

Una dieta ricca in SFA, farine raffinate e zuccheri semplici è associata a un maggior incremento del rischio cardiovascolare se comparata a una dieta ad alto contenuto di fibre, frutta e verdura. Pertanto, la mia personale opinione è quella di non demonizzare un singolo componente, tenendo bene a mente che sono tante piccole gocce a formare un lago e nel caso dell’alimentazione tutto ciò che assumiamo ha un ruolo nel bilanciamento finale dei nutrienti e nell’eventuale aumento della suscettibilità alle patologie.

 

Dottoressa Giovanna Pitotti

Fonte:www.lascuoladiancel.it






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